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FAST FASHION
Oggi il consumismo ha imposto sul mercato il fenomeno del Fast Fashion
FAST FASHION: IL COSTO SOCIALE DELLA MODA.
Mia madre, in risposta alle mie richieste adolescenziali di abiti “alla moda” del momento,
spesso raccontava di come mia nonna, in tempo di guerra, avesse cucito dei vestiti per Lei e le
sorelle utilizzando stoffe di fortuna, sacrificando persino le tende appese in sala da pranzo. Mi
ha sempre colpito questo racconto espressione di una “forza d’animo” che, all’epoca, aiutò
intere generazioni e donne come mia nonna a non arrendersi. Erano tempi diversi! Le giacche e
i cappotti si rivoltavano per farli durare più a lungo. Tali comportamenti rientravano nelle
abitudini di una società lontana dal consumismo di oggi che, da alcuni anni, ha imposto sul
mercato il fenomeno della cd FAST FASHION. I capi di vestiario e i cd “accessori” hanno, vita
brevissima. La creazione del vestiario risponde ad strategia commerciale ben precisa con lo
scopo di stimolare l’acquisto ed il consumo nel settore dell’abbigliamento, sviluppando sempre
nuove e diverse tendenze nella moda facilmente fruibili in termini di costo. Quando, negli anni
80, per la prima volta nacque la produzione in serie delle grandi catene, il fenomeno diede vita
ad un processo cd di “democratizzazione della moda” permettendo a chiunque e con una
modica spesa di vestire seguendo le tendenze e le mode del moment. Marchi come Zara o H &
M, infatti fondarono il loro successo commerciale nella riproduzione, talvolta ai limiti del plagio,
di abiti che imitavano gli stili e le collezioni di grandi stilisti vendendoli a prezzi accessibili.
Oggi, invece i motivi del successo del fast fashion consistono nella riduzione dei tempi di
produzione e nella “ capacità di interpretare i gusti del consumatore “ se non, addirittura,
indirizzarli. Il mantenimento di un prezzo basso ha comportato delle conseguenze in termini
soprattutto di sicurezza. Nel sistema, infatti, è frequente l’uso di manodopera a basso costo, in
paesi economicamente depressi, privi di garanzie salariali, con inevitabile pregiudizio della
dignità e della salute del lavoratore. E’ tristemente noto il crollo, del Rana Plaza,un palazzo di
nove piani con moltissimi laboratori di manifattura tessile, a Dacca, nel Bangladesh durante il
quale morirono ben 1.129 persone, avvenuto soltanto pochi anni addietro: nel 2013. Il basso
costo della moda veloce, inevitabilmente, incide anche sulla qualità e il costo delle materie
prime utilizzate con pregiudizio sempre più spesso anche della sicurezza e della salute del
consumatore finale. Il settore della moda, dopo quella del petrolio rappresenta la seconda
industria più inquinante del mondo. I jeans oggi di tendenza, con strappi e usure in punti
precisi, sono realizzati con l’utilizzo di polveri altamente nocive per l’ operaio che se ne occupa
ma anche, potenzialmente, per l’utilizzatore finale. Un quarto di tutte le sostanze chimiche
prodotte nel mondo sono utilizzate nell’industria tessile. Molte di queste si presentano sotto
forma di poliestere e altre fibre sintetiche che richiedono grandi quantità di petrolio grezzo. Inoltre nomi complicati quali ftalati e formaldeide nascondono una subdola minaccia
anche per la nostra salute. Secondo uno studio realizzato dalla UE il 7-8% delle patologie
dermatologiche è dovuto a ciò che indossiamo senza contare poi la difficoltà dello smaltimento
di queste sostanze sintetiche che quindi contribuiscono anche all’inquinamento ambientale. La
lista dei tessuti tossici è lunga e va dal nichel “nascosto ” nei coloranti per tingere, ai
Clorofenoli (Pcp, Tpc e relativi sali) utilizzabili come antimicrobici e antimuffa , prima
dell’immagazzinaggio e del trasporto, fino agli antiparassitari, presenti soprattutto nei capi
realizzati con fibre naturali, che sono costituiti dai residui delle dosi massicce usate per
“sanificare” i container che trasportano i capi di abbigliamento da una parte all’altra del mondo.
Vi siete mai chiesti a cosa sia attribuibile l’odore caratteristico presente in alcuni negozi molo
spesso percepibile anche all’esterno del punto vendita? L’etichetta, diversamente da altri
prodotti, in questo caso non è di alcun aiuto al consumatore. Il regolamento UE del 2012 non
impone nemmeno più l’obbligo della indicazione del luogo di produzione e quanto alla
composizione dei tessuti bisognerebbe avere una conoscenza tecnica specifica per
l’interpretazione ed intelligibilità di quanto riportato. Come proteggersi, allora? Ecco alcuni
trucchi per vestire sano: 1- Evitare di far indossare a bambini e adolescenti capi di dubbia
qualità, soprattutto per quanto riguarda l’abbigliamento intimo. 2-fare attenzione ai capi
colorati, soprattutto neri, blu e in parte anche rossi, sono senz’altro quelli più pericolosi
perché potrebbero nascondere tracce di nickel . 3- Verificare (quando l’etichetta lo riporta) dove
il capo è stato prodotto: gli abiti fabbricati in Europa e in Italia sono tendenzialmente più sicuri di
quelli prodotti in altri Paesi.4- Non acquistare abiti sulle bancarelle o
eventualmente lavarli almeno due volte prima di indossarli. 5- Diffidare dai capi venduti ad un
prezzo molto basso.6 Per lo sport preferire tinte chiare e fibre naturali (il sudore e il calore
favoriscono l’assorbimento delle sostanze chimiche). 7- L’etichetta mancante o contraffatta è
sempre un indizio di pericolosità. Infine ciò che è importante è soprattutto essere più critici ed
esigenti nei nostri acquisti. Verificare il prezzo sociale e non solo economico di un prodotto è
una conquista di civiltà e di valore. Non ingoiate il rospo! Mai!
Avv. Raffaella D’Angelo Ufficio Legale Codacons