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PARCO NAZIONALE CILENTO
Il Parco nazionale del Cilento è un'area protetta gestita da un ente che più volte ha dato prova di come una misura legislativa sulla carta positiva possa trasformarsi in un’esperienza guidata da una politica senza visione
Non è nuovo l’interesse del Codacons per il Parco Nazionale del Cilento, area protetta - istituita con decreto
del lontano 1991 - gestita da un ente che più volte ha dato prova di come una misura legislativa, sulla carta,
positiva possa trasformarsi in un’esperienza senza indirizzo, sostenuta da una burocrazia miope, guidata da
una politica senza visione.
L’ente parco, negli ultimi 20 anni, tante volte ha volto lo sguardo dall’altra parte, per non guardare, per non
intervenire, lo ha fatto di fronte all’aggressione del cemento lungo le coste, come pure in occasione della
svendita del demanio marittimo a favore dei privati.
Si sa, tra Palinuro e Marina di Camerota, nella terra del mito, la salvaguardia ambientale non si è mai
affermata come una priorità, semmai si è data prova di come le concessioni agli stabilimenti balneari siano
più importanti della preservazione di spiagge esclusive con dune marittime o di come gli interessi dei privati
siano prevalenti sulle regole e sulla legalità.
Così, da una parte, l’Europa apprezza e tutela, si pensi all’Unesco – agenzia delle Nazioni Unite - che nel
1997 dichiarava il parco Riserva della Biosfera e, nel 1998, Patrimonio dell’Umanità, o all’Unione europea
che, da parte sua, riconosce vaste aree come siti di interesse comunitario e zone a protezione speciale,
dall’altra, i cilentani vinti dalla loro indifferenza, incapaci di reagire di fronte alle ‘sviste’ della dirigenza
dell’ente parco.
Eppure non sono mancate le occasioni per denunciare, per indignarsi, per far sentire una voce o un vagito
almeno di protesta.
Gli abusi edilizi costellano il territorio interno come la fascia costiera, con un’incidenza tra le più alte in
Italia, le pianificazioni urbanistiche tante volte tendono a favorire le speculazioni di pochi, è difficile
dimenticare i vecchi progetti lungo il litorale pisciottano, cui si aggiungono recenti tentativi di
programmazione urbanistica dell’area del porto che delineano una nuova aggressione con il cemento,
antica arma ora pronta a distruggere ulivi secolari e identità consolidate.
Tutto passa, tutto scorre.
Come l’acqua che gonfia il corso del Calore. Peccato che il fiume – anch’esso patrimonio dell’Unesco - per
molti mesi all’anno sia completamente in secca, il Consorzio acquedotto di Agropoli ne capta totalmente
l’acqua alla sorgente sul monte Cervati, senza garantire il “deflusso minimo vitale”, previsto come
obbligatorio dalla legge. Le denunce del Codacons e di comitati locali (Comitato Gole Nord Calore) hanno
avuto risalto sugli organi di informazione, senza però raggiungere alcun risultato concreto. Così il fiume
continua a rimanere totalmente in secca nella stagione estiva, un’agonia che danneggia la fauna, la flora e
la biodiversità, cancellando, nel tratto di Piaggine, l`identità stessa del comune montano, attraversato da un
corso d’acqua oramai spento.
“Gli indifferenti sono il peso morto della storia” scriveva Gramsci nel saggio Odio gli indifferenti.
Poche le voci che si sono udite in Cilento anche di fronte all’edificazione ad Aquara, piccola comunità ai
piedi degli Alburni, del Centro Lontra e dell’Osservatorio e Museo del fiume, o ancora in occasione della
costruzione dell’Osservatorio della fauna migratoria a Centola- Palinuro.
Un fiume di denaro pubblico gestito dall’ente parco per produrre opere inutili e incomplete, buone solo a
deturpare il paesaggio.
Il paradosso è questo: un ente di tutela ambientale distrugge il paesaggio …. e svuota le casse dello Stato.
Tanto si tratta di finanziamenti europei si dirà, tanto qualche ditta avrà pur lavorato per erigere quegli
ecomostri, insomma l’economia ha potuto fare il suo giro completo.
Non è tutto, lo Stato prova, sulla carta, a difendere anche aree marine di particolare pregio.
Sono ventisei le aree marine protette in Italia, tra esse la riserva marina di Santa Maria di Castellabate,
istituita con decreto del 2009. La riserva, con la sua ampia superficie marina, ricade completamente nel
comune di Castellabate, nel cuore del Parco. Essa è stata, incredibile a dirsi, osteggiata, in primo luogo dalla
stessa amministrazione comunale la quale, nel 2015, contro l`approvazione del regolamento di esecuzione
e di organizzazione dell`area marina protetta ha presentato un ricorso al Tar.
Incredibile, anziché valorizzare l’area marina protetta, l’ente locale ha preferito porre l’accento sui danni
che provocherebbe la riserva, viene da chiedersi: come può un’amministrazione di un comune costiero
pensare che una riserva marina non sia una risorsa che valorizza l’intero territorio? Eppure è così, il Comune ha frapposto ostacoli, facendo vincere i localismi, le pressioni dei pescatori o di
qualche diportista, rispetto ad una visione più ampia, mentre l’ente Parco - che presiede la Commissione di
gestione della riserva composta da rappresentanti ministeriali, rappresentanti del Comune e da un
rappresentante delle associazioni ambientaliste(attualmente con membro indicato dal Codacons) -, è, da
parte sua, del tutto inerme, in tanti anni non si è riusciti ad andare oltre la semplice perimetrazione
dell’area.
Si costruiscono ecomostri con denari pubblici, poi, compulsati dal Codacons, si è chiamati ad abbattere
alcune delle brutture edificate, si favoriscono sperperi su sperperi e non si pensa di spendere un solo euro
per apporre un cartello diretto a promuovere e valorizzare la Riserva naturale marina.
Rimane solo la ‘mala gestio’ della cosa pubblica, quella sì, destinata ad auto-rigenerarsi, almeno fino a
quando avrà un alleato formidabile: la nostra indifferenza.
Pierluigi Morena
Ponte nel cuore del borgo antico di Piaggine, com`è ora per gran parte dell`anno, com`era un tempo
nella stagione estiva.